giovedì 6 marzo 2014

IL PENTAGONO VUOLE INSTALLARE UN PICCOLO CHIP CEREBRALE SUI SOLDATI AMERICANI

IL PENTAGONO VUOLE INSTALLARE UN PICCOLO CHIP CEREBRALE SUI SOLDATI AMERICANI

La possibilità che un chip cerebrale possa venir impiantato sugli esseri umani è sempre più vicina. Su richiesta del Pentagono, la Defense Advanced Research Project Agency (DARPA), il ramo tecnologico e scientifico dell'esercito Usa, sta sviluppando un chip neurale da impiantare sul cervello dei militari, con un doppio scopo: registrare i ricordi dei soldati e stimolare il lato destro del cervello migliorare la capacità di acquisire nuove conoscenze e ridurre i tempi di reazione. E questi sono solo due delle potenziali applicazioni.
chip neurale biochip
Il remake del film Robocop, da poco uscito nelle sale cinematografiche, racconta la storia di Alex Murphy, un agente di polizia di Detroit gravemente mutilato in un attentato dinamitardo.
Con lo scopo di convincere l’opinione pubblica americana ad accettare l’introduzione di robopoliziotti sul territorio americano, la OCP impianta quello che rimane di Murphy in un corpo robotico, fornendogli anche un cervello modificato per migliorare le prestazioni.
Sebbene la vicenda di Alex Murphy faccia parte di una racconto di fantascienza, in un futuro molto prossimo questa storia potrebbe diventare realtà.
Come riporta Extremetech, il Pentagono sta cercando di sviluppare un sistema simile da impiantare sul cervello degli esseri umani, in particolare su quello dei soldati americani. Lo scopo del progetto, denominato Restoring Active Memory (RAM!), ha una doppia finalità.
La prima è quella di registrare i ricordi dei soldati, un po’ come la scatola nera di un aeroplano, in modo tale che se anche dovessero subire danni cerebrali o subire una perdita di memoria, sia comunque possibile recuperare ed, eventualmente, reinstallare la memoria.
La seconda, invece, prevede la possibilità di stimolare il lato destro del cervello durante l’addestramento o nel corso delle missioni, così da migliorare le capacità tattiche dei soldati, fargli acquisire rapidamente nuove informazioni e ridurre sensibilmente i tempi di reazione. Ovviamente, queste sono solo due applicazioni basilari di un impianto cerebrale del genere: le possibilità sono molteplici!
Il Pentagono, naturalmente, ha incaricato dello sviluppo del progetto la Defense Advanced Research Project Agency (DARPA), il ramo tecnologico e scientifico dell’esercito americano. Al momento, le informazioni disponibili sono ancora scarse, ma come riporta il sito geek.com, alcuni progressi significativi sono stati ottenuti attraverso dispositivi di stimolazione cerebrale come quello sviluppato dalla Medtronic per aiutare le persone affette dal morbo di Parkinson.
L’idea è quella di adattare il dispositivo così da poter analizzare e decodificare i segnali neurologici e scoprire come immagazziniamo i ricordi, facendo in modo di poter riprogrammare un cervello che abbia subito una perdita di memoria.
DARPA è pronta ad accettare anche progetti esterni, da parte di soggetti privati e istituzioni universitari, i quali devono prevedere la descrizione in dettaglio del funzionamento dell’impianto, la descrizione della procedura chirurgica per la sua installazione, il tipo di alimentazione per farlo funzionare, lo spazio richiesto e il peso del dispositivo.
Qualcosa di simile è già stato sviluppato dalla University of Utah. Le immagini pubblicate sul sito dell’università mostrano un dispositivo grande appena quanto una moneta.

Lo scopo principale del chip sviluppato dalla University of Utah è quello di inviare segnali provenienti da una sorgente esterna direttamente nel cervello, praticamente una periferica “input”. Ma come spiegano gli esperti, il chip RAM sarà molto più complesso, anche se il concetto base sarà simile.
Come sempre accade in questi casi, per far fronte allo sconcerto che spontaneamente sorge in chi legge notizie del genere, le università, le ditte private e i militari decantano innanzitutto le possibilità mediche di questi impianti: curare le perdite di memoria, correggere danni cerebrali e rimettere in moto arti compromessi.
Poi, un giorno non troppo lontano, questi impianti potrebbero diventare un vero e proprio up-grade, così da ottenere l’HOMO 2.0, un essere potenziato ormai tagliato fuori dalla vita naturale e pronto a ricevere segnali nel proprio cervello da una fonte esterna non bene precisata.
C’è un rischio molto grosso: quello di perdere il libero arbitrio e quindi la libertà. Cosa accadrebbe se questi segnali ci trasformassero in zombie tecnologici capaci sono di eseguire solo ordini inviati al nostro cervello? E poi, non è proprio la nostra fragilità e limitatezza a renderci così meravigliosamente umani? Meglio poter scegliere e sbagliare, piuttosto che essere perfetti senza libertà.

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